POESIE

venerdì 27 luglio 2012

Alfonsina Storni poetessa argentina

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Alfonsina Storni









Testo di Rosa Capuano

Ticinese di origine, argentina di adozione, Alfonsina Storni è stata una mirabile ma anche sofferta voce del post modernismo del grande paese sudamericano.


Vissuta negli anni della Belle Époque, era il 1892 quando nacque a Sala Capriasca, la Storni si è cimentata nella sua vita tra svariate attività, da quelle umili di lavapiatti, poi insegnante fino a diventare giornalista e poetessa di grande spessore.


Fu proprio lei a dire di se “Mi chiamarono Alfonsina che significa disposta a tutto". In effetti la sua biografia umana ed intellettuale è stata intensa come il suo amore per l’arte e la vita. I genitori emigrarono dalla Svizzera per l’Argentina quando lei aveva solo 4 anni e nel nuovo mondo la famiglia Storni cercò di conquistare il proprio posto al sole non senza sacrifici e difficoltà.


La giovane Alfonsina per sopperire alle scarse entrate finanziarie si occupò come si è detto di lavori molto umili ma non trascurò mai la sua formazione culturale. Nel 1907 frequentò la compagnia teatrale del maestro Manuel Cordero. Esibendosi in tutto il paese interpretò opere di Ibsen, Pèrez Galdòs e Sanchez. A soli 20 anni si trasferì a Buenos Aires, sperando di trovare nella capitale la realizzazione delle sue aspirazioni artistiche. Sognava infatti di calcare palcoscenici o di diventare musa di qualche regista ma ben presto si ritrovò ad affrontare una maternità in solitudine. Essere una ragazza madre nell’Argentina del 1912 era considerato un onta ed un vero e proprio svantaggio sociale ma Alfonsina tramutò lo svantaggio in successo. Non svelò mai l’identità del padre di suo figlio ed in una sua celebre poesia descrive la sua convinta difesa di un amore passato e racchiuso nel suo intimo :






«Chi è colui che amo? Non lo saprete mai.


Mi scruterete gli occhi per scoprirlo e non vedrete

mai che il fulgore dell'estasi. Io lo imprigionerò

perché mai sappiate immaginare chi ho dentro il

mio cuore, e lì lo cullerò, silenziosamente, ora

dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Vi darò i miei canti, ma non il suo nome. Lui

vive in me come un morto nella sua tomba, tutto

mio, lontano dalla curiosità, dall'indifferenza, dalla malvagità»






La donna Alfonsina dunque scelse la strada dell’avanguardia e della rottura dallo schema che la vedeva accompagnata ad un uomo oppure scrittrice dotata per la sua stessa identità di genere, all’amore romantico. Così scriveva in una sua poesia “La Lupa” (La inquetud del rosal, 1919) “Io son come la lupa. Vado sola e non mi curo del branco. Sola il nutrimento mi procuro dove voglio lo trovo perché io ho una mano che sa lavorare e un cervello che è sano”.


Fu protagonista assoluta della sua vita e la sua attività letteraria che maturò negli anni 20 ne è la testimonianza. Collaborò con giornali e riviste a Buenos Aires sotto pseudonimo (Tao Lao) conciliando l’attività di docente di letteratura alla Escuela Normal de Lenguas Vivas. La sua penna sferzante parlava di avanguardia, di emancipazione sociale, soprattutto delle donne.


I suoi principi furono sorprendentemente oggetto di critica ed ammirazione da parte di scrittori connazionali ed europei. Tuttavia, nonostante un insperato successo, il male interiore avanzava e la sua poetica fu ben presto espressione di una malinconia ed una sorta di nichilismo dettati dalla consapevolezza che la società del suo tempo difficilmente si sarebbe liberata dall’impronta patriarcale e dello strapotere maschile. La sua poesia, inizialmente ispirata all’entusiasmo della nuova avventura nella capitale ed all’amore intenso e passionale, fu caratterizzata negli anni della maturità dall’amarezza e da un forte pessimismo che esprimeva con rime talvolta accese talvolta dolci.


Sono due le poesie che possono caratterizzare questa dualità nella sua poetica: Ocre del 1925 dove per lei il mondo era “un pomeriggio d’oro” e “Il mondo dei sette pozzi” di circa dieci anni più tardi in cui descrive un mondo aspro, crudele con “occhi di fiamma” che sono “fari d’angoscia”. Questa visione è legata alla delusione che la città di Buenos Aires diede alla poetessa; una città, come scrive,


dove domina la miseria, quella che si offre al povero per continuare a vivere e quella che si offre all'uomo per persistere nel comunicare.


Sia nella prima che nella seconda fase della sua produzione, la natura viene umanizzata per ribadire al lettore sottoforma di metafora le molteplici possibilità che ha l’uomo ma soprattutto la donna di rigenerarsi. In special modo dopo la distruzione morale e dei sentimenti, esiste il ritorno dell’amore come una primavera che dona conforto ma senza dimenticare che l’inverno non lascerà mail il suo ruolo nella grande rappresentazione che è la vita.


Il teatro, le metafore, la malinconica trascrizione dei suoi pensieri fanno da contraltare alla fine della vita di Alfonsina. Colta da male incurabile , in un giorno del mese di Ottobre del 1938 decise che il mare che dall’Europa l’aveva portata in America l’avrebbe di nuovo accolta. Così dopo aver scritto Voy a dormir, la sua ultima poesia, andò incontro a quel mare scuro e agitato del mar de la Plata facendosi annegare tra la sua spuma.


Voy a dormir è una sorta di testamento personale, l’ultimo grido di una donna che ha voluto lasciare un segno ed irrompere in quegli schemi che ancora difficilmente potevano esser scardinati.


…………………………………………………………


Vado a dormire, mia nutrice, mettimi giù.

Mettimi una luce al capo del letto

una costellazione; quella che ti piace;

tutte van bene; abbassala un pochino.




Lasciami sola: ascolta erompere i germogli...

un piede celeste ti culla dall'alto

e un passero ti traccia un percorso

……………………………………………………………..


La sua opera resta nella cultura sudamericana ma anche in qualche parte di Europa un mirabile esempio di lirismo schietto mai retorico. Di lei Delfina Muschietti, studiosa argentina che ha curato la raccolta delle sue opere, dice:”Alfonsina non è qualche lacrima, è un limpido torrente, un dirompente fiume, forse è un mare di verità. O forse è la verità che sta tra il cuore e la mente ad essere straordinaria e obliqua, e che cammina nella direzione del tempo?


Oggi il ricordo di Alfonsina Storni è vivo più che mai nella cultura sudamericana e lo testimonia anche la sua presenza nel Salón de las Mujeres Argentinas (Sala delle donne argentine) presso la Casa Rosada di Buenos Aires; il palazzo presidenziale che in occasione del bicentenario della nascita ha voluto omaggiare le donne che hanno fatto la storia del paese. Alfonsina quel posto lo ha senza dubbio meritato.






lunedì 23 luglio 2012

Il viaggio non finisce mai


Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito". 




(da Viaggio in Portogallo)

Josè Saramago

venerdì 20 luglio 2012

Inciampo ma non cado



Inciampo sul selciato
inciampo ma non cado

Mentre aspetto
e la pazienza non mi manca
intreccio collane di paglia
e perline colorate
conchiglie vuote 
e boccioli di rose ormai sfiorite

Raccolgo gocce d'insonnia
aspettando la pioggia
promessa da un santone in doppiopetto blu
mentre passeggio 
a passo di lumaca
seguendo con lo sguardo
per non perdere la strada
la coda appuntita della tartaruga

Programmo odi 
a foglie rinsecchite
che l'occhio mio
esausto e abbacinato
s'illude di vedere germogliate

Osservo da lontano
distesa sulla sabbia delle mie colline
le vostre angeliche bravate
mentre sorseggio un tè
bollente amaro
al gusto dolce di limone

martedì 17 luglio 2012

L'ho prelevata (autorizzata) dal blog di CKlimt e l'ho voluta riproporre anche qui, nel mio. Tracce involontarie e misteriose come, misterioso e involontario, può essere un incontro.


Tra mille occhi, i tuoi.
.
Tra mille mani, le tue.
.
Tra mille passi
.
intuire la strada che s'aprirà davanti a te.
.
Tu che ci sei, inaspettata
.
anche quando non ci sei
.
Tu che ti perdi dentro una serata fra sconosciuti
.
che t'ubriachi di sguardi sottili e pensieri silenziosi.
.
.
Tu che attraversi mondi diversi e opposti
come il toccare infiniti porti d'una nave
che abbia una segreta destinazione.
.
Metropoli d'estraneità, improvvisamente sciolte
in attimi di quasi felicità, l'intreccio dei tuoi giorni.
.
Tu che attraversi i mattini affollata di apnee e respiri
e luce, come le foglie dei pioppi.


Ti guardo anche se non ti vedo
e ho imparato a vederti senza più guardarti
Così come faccio col mare.


I tuoi occhi grandi, chiusi, splendono nel sonno.
Perché sei bella, anche addormentata.
Anche perduta nella tua assenza.
Bella d’una bellezza scoscesa e altera.
Principessa d’una regione d’alture e laghi
e buie dimenticanze, quando ti lasci andare
quando fai cadere una ad una, tutte le tue difese.
.
Starò bene con te nei pomeriggi d’ozio
nei lunghi pomeriggi d’oro
quando il sole gioca con le vetrate del centro
ricamando colori improbabili
nei riflessi che scendono giù dai palazzi.


Ci piacerà passeggiare.
Andare in vicoli sconosciuti
sotto anarchici portici che aspettano da secoli
il dialogo di due anime inquiete e senza regole.
.
Starò bene con te
mentre parli e racconti, o ti fermi e danzi
nel ritmo orientale dei tuoi occhi
intenti ad assorbire un orizzonte.
E sarò per un attimo felice guardandoti i polsi.
La tua delicatezza, le tue dita minute…
.
Scherziamo: ...no che non sei anoressica!
Non lo diventerai mai
finchè ti nutrirò di pensieri rotondi
che sanno di luna e profumo di pane
armonie di girasoli e note di canzoni


Ti guardo davanti a me
e scorgo il contorno cui somigli.
Lo stelo d'un fiore che s’inerpica in cielo
innerva la tua schiena.
.
La tua follia profuma di bucato
nei tuoi capelli sugli occhi
Nube che rabbuia per scherzo
il tuo azzardo di un'ira improvvisa e lieta.
Sole rotondo alto sulla piazza
quando mi vieni incontro nel canto del tuo sorridere.
.
Sei vicina, ma ancora non così tanto da portarti via
la mia anima che pesa, per indossarla di nascosto
a mia insaputa. E quì s’acquatta la paura
di dirsi cosa siamo, che cosa vediamo
cosa saremo e cosa ci porterà il viaggio
che entrambi abbiamo intrapreso,
segretamente. Senza proclami.
.
Tu sai in quale tipo d’amore credo.
Un azzurro che non trova limite
ma galleggia nell’aria e fa verdi gli alberi
Che accende gli occhi degli esiliati
come il vento o l'allegria.
..
Occhi che non credono ai loro occhi...
la lucidità della follia tutta mia,
che mi fa guardare la vita
come si contemplano i pesci d'un acquario
. ..
Concerto di colori, dentro il silenzio puro e selvatico
che precede il tuono solo d'un attimo.



John Keats Ode sulla Melanconia









Non immergerti in Lete, no, e non spremere
il vino avvelenato dell'aconito
dalle salde radici, né dovrai
sulla pallida fronte
soffrire i baci della belladonna,
grappolo di rubino di Proserpina,
né fare il tuo rosario
con le bacche del tasso,
né divenga per te lo scarabeo
o la cupa falena
la tua Psiche luttuosa,
né sia compagno al tuo segreto duolo
villoso gufo;
perché l'ombra sull'ombra troppo assonna
e la vigile angoscia
dell'anima sommerge.
.
Ma quando su di te malinconia
improvvisa dal cielo
cadrà simile al pianto della nube
che fa levare il capo ai fiori languidi
e cela il verde colle in un sudario
d'Aprile, allora sazia
il cruccio in una rosa mattutina,
o in un arcobaleno d'onda salsa
sul lido, o nel fulgore
della peonia tondeggiante, e se
collera deliziosa ti dimostri
l'amante tua, imprigiona la sua morbida
mano e lascia che deliri
e pasciti nel fondo,
nel fondo dei suoi occhi senza pari.

Ella dimora insieme alla Bellezza-
La Bellezza che deve morire;
e con la Gioia, la cui mano è sempre
sulle labbra pel bacio dell’addio;
e vicina al Piacere doloroso,
che si muta in veleno
mentre la bocca quasi ape lo sugge;
si, nello stesso tempio del Diletto,
Malinconia velata ha il suo santuario
sovrano, non veduta da nessuno
se non da chi contro il palato fine
con ostinata lingua sa schiacciare
i grappoli di Gioia. La tristezza
della potenza tua, Malinconia,
gusterà la sua anima
fra i tuoi trofei nubilosi sospesa.

Domani


Domani 
sì certo... domani

E ritorno così 
testa fra le mani
a custodire il silenzio

Vergine di piacere
fra i tratturi di un'anima ribelle
cerco oltre gli steli senza ombra
il nascosto recesso
fra la mente e il cuore
dove occultare ogni verbo
e dolcemente sfiorare 
l'infranta mia 
melanconia

sabato 14 luglio 2012

Rue du chat noir


Caspar David Friedrich, Il Sognatore, 1835

Ho scritto questa poesia, mentre seduta sui gradini di una chiesa di Tolone, osservavo l'andirivieni dei fedeli.
Fedeli che manifestavano devozione e al contempo assoluta distrazione per la miseria umana che, poco più in là, rovistava tra la spazzatura.



In Rue du Chat noir
si respira aria di muschio
la sera 


Quando la luce si fa d'oro
dalle bifore della chiesa 
sulla scalinata
mima i passi dei fedeli
in lunghe figure evanescenti

Tremule fiammelle devozionali
sgranano bestemmie 
come fossero perle di rosari  

venerdì 13 luglio 2012

«Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose "Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi"». Da " Il vangelo secondo Gesù Cristo" di Josè Saramago


SCHEDA LIBRO

LUCERNARIO

di José Saramago, edito da Feltrinelli Editore

“Lucernario è la porta d’ingresso a Saramago e sarà una scoperta per ogni lettore.”
 Pilar del Rio




UNA SORPRESA PER I LETTORI – Il dattiloscritto di 319 pagine venne ritrovato nel 1999 dallo stesso scrittore che, come la vedova di Saramago Pilar del Rio: «Si rifiutava ostinatamente, diceva che non lo avrebbe dato alle stampe finché era in vita. Riteneva che nessun editore ha l’obbligo di pubblicare i manoscritti che riceve, ma che esiste il dovere di dare una risposta a chi la aspetta giorno dopo giorno, mese dopo mese, con impazienza per non dire con trepidazione». Il libro, adesso edito da Feltrinelli «è la porta d’ingresso a Saramago e sarà una scoperta per ogni lettore» come ha commentato Pilar del Rio che ha firmato la prefazione. Il volume che segna la prima tappa del viaggio nella vita di Saramago racconta anche il lato umano e coinvolto del Saramago giovane che, come ricorda la vedova nella prefazione: «Allo sgarbo della mancata risposta degli editori al suo Lucernario, scritto in ore notturne dopo giornate trascorse in impieghi non facili, dovette sommare altri affronti, per la sua condizione di sconosciuto, che non proveniva dall’accademia né dall’elite intellettuale» ma che, nonostante tutto, riuscì a diventare uno degli scrittori più abili ed amati del mondo.

(Vittoria De Petra)













A LOS MAYORES


Frecuentemente me preguntan que cuántos años tengo…
¡Qué importa éso!
Tengo la edad que quiero y siento. La edad en que puedo gritar sin miedo lo que pienso. Hacer lo que deseo, sin miedo al fracaso, o lo desconocido.
Tengo la experiencia de los años vividos y la fuerza de la convicción de mis deseos.
¡Qué importa cuántos años tengo!
No quiero pensar en ello. Unos dicen que ya soy viejo y otros que estoy en el apogeo.
Pero no es la edad que tengo, ni lo que la gente dice, sino lo que mi corazón siente y mi cerebro dicte.
Tengo los años necesarios para gritar lo que pienso, para hacer lo que quiero, para reconocer yerros viejos, rectificar caminos y atesorar éxitos. Ahora no tienen por qué decir: Eres muy joven… no lo lograrás.
Tengo la edad en que las cosas se miran con más calma, pero con el interés de seguir creciendo.
Tengo los años en que los sueños se empiezan a acariciar con los dedos, y las ilusiones se convierten en esperanza.
Tengo los años en que el amor, a veces es una loca llamarada, ansiosa de consumirse en el fuego de una pasión deseada. Y otras un remanso de paz, como el atardecer en la playa.
¿Qué cuántos años tengo?
No necesito con un número marcar, pues mis anhelos alcanzados, mis triunfos obtenidos, las lágrimas que por el camino derramé al ver mis ilusiones rotas… Valen mucho más que eso.
¡Qué importa si cumplo veinte, cuarenta, o sesenta! Lo que importa es la edad que siento.
Tengo los años que necesito para vivir libre y sin miedos. Para seguir sin temor por el sendero, pues llevo conmigo la experiencia adquirida y la fuerza de mis anhelos.
¿Qué cuantos años tengo? ¡Eso a quién le importa!
Tengo los años necesarios para perder el miedo y hacer lo que quiero y siento.
José Saramago






Ricetta

Prendete un poeta non snervato,
un fiore e una nuvola di sogno,
tre gocce di tristezza, un tono ambrato,
una vena che sanguina terrore.
Quando l'impasto bolle e si rimesta,
luce di un corpo femminil versate,
condite con un pizzico di morte:
un amor di poeta lo richiede.

José Saramago, Le poesie possibili. In Le poesie, Einaudi, 2002.







Chiudo questo mio saluto al tanto grande quanto discusso Josè Saramago, con le parole che usò per commiato  Roberto Saviano



Il mio maestro José. 

Saviano ricorda Saramago


di Roberto Saviano, Repubblica, 19 giugno 2010

Di tutte le cose che poteva fare Josè Saramago morire è quella più inaspettata. Se conoscevi Josè proprio non lo mettevi in conto. Sì, certo tutti muoiono, anche gli scrittori.
Ma lui non ti dava proprio alcuna impressione di essersi stancato di vivere, respirare, mangiare, amare. Si era consumato negli ultimi anni, tra la carne e le ossa sembrava esserci sempre meno spessore, la sua pelle sembrava un sottile mantello che ricopriva il teschio. Ma diceva: «Potessi decidere, io non me ne andrei mai».

Parlare della morte di qualcuno cui si è voluto bene, molto bene, rischia di essere solo un esercizio retorico, una proclamazione di memoria e virtù del defunto. L´unico modo che si ha per mantenersi sinceri, è quello di tentare di descrivere lo spazio di vita in più che ti ha dato chi ha finito di respirare. Questo vale la pena fare. Vedere quanto ti è stato sommato alla tua vita, ciò che ti è rimasto dentro, che riuscirai a passare a chi incontrerai, e questo sì, ha il sapore della vita eterna. In fondo molto non è andato via, se molto sei riuscito a trattenere.


Avevo conosciuto Saramago per la prima volta come tutti, leggendolo. Il Vangelo secondo Gesù era il suo libro che mi aveva cambiato, trasformando il modo di sentire le cose. Quel Gesù uomo, che sbaglia, ama, arranca, cerca di essere felice, mi era sembrato essere un personaggio del tutto nuovo nella storia della letteratura. Era una sintesi dei vangeli apocrifi, dei vangeli ufficiali, dei racconti pagani e delle leggende materialiste sul Cristo socialista. Era il Gesù dell´amore carnale verso Maria Maddalena. Su questo Saramago ha scritto parole incantevoli come solo il Cantico dei Cantici era riuscito a creare: «Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose "Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi"».

E´ un Gesù umano che non vuole morire: è il contrario della santità, è uomo con i suoi errori, peccati, talenti e con il suo coraggio. Sembra dire al lettore che basta esser fedeli a se stessi per conoscere la vita e non diventare dei servi, o degli schiavi. «Allora Gesù capì di essere stato portato all´inganno come si conduce l´agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto». Proprio così: il Gesù di Saramago rivolgendosi all´uomo chiede di perdonare Dio, ribaltando la versione evangelica del "Padre perdona loro".

E poi ho letto Cecità, altro suo romanzo che ho amato molto e che spesso mi torna in mente. In una frase. Pronunciata da lui per rispondere a me che maledivo certe scelte che mi avevano rovinato la vita. «Arriva sempre un momento in cui non puoi fare altro che rischiare». E la parola di Saramago era sempre una parola rischiosa, non cercava mai di farsi comoda.

Sognavo di trasferirmi da lui, come mi aveva consigliato, esprimendomi solidarietà nei giorni più difficili. Non lo dimenticherò mai. E non dimenticherò mai l´imbarazzo estremo in cui mi trovai quando mi definì "maestro di vita". Io che da lui cercavo continuamente indicazioni, esperienza, per galleggiare in un oceano di difficoltà, bile, rabbia, ostilità. Lui era un maestro che insegnava per farsi a sua volta insegnare. A Stoccolma disse che nella sua vita le persone più sagge che avesse mai conosciuto erano i suoi nonni. Entrambi analfabeti. La loro saggezza era stata costretta a rinunciare per povertà al libro, alla musica, ai teatri, ai dipinti, ma che era riuscita a conoscere la vita, a sentirne con generosità quello che José chiamava sussurro. «Tutte le cose, le animate e le inanimate, stanno sussurrando misteriose rivelazioni».

Una volta scambiandoci alcune riflessioni sullo stile, citai Albert Camus convinto che «lo scrittore che decide di scrivere chiaro vuole lettori, lo scrittore che scrive oscuro vuole invece interpreti». E la risposta fu: «ecco cos´hanno di simpatico le parole semplici, non sanno ingannare». Trovare parole semplici è il mestiere più complicato che sceglie di fare uno scrittore. Avevi ragione, José: «il viaggio non finisce, solo i viaggiatori finiscono". E ora tocca a noi qui. Continueremo a camminare con le tue parole a indicarci la strada senza fine.

©2010 Roberto Saviano/ Agenzia Santachiara

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Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. W. Shakespeare

J.W. GOETHE

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Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile, dire qualche parola ragionevole. Johann Wolfgang Goethe

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